La mente, il tempo e il suo trascorrere

Il tempo è l’immagine mobile dell’eternità. – Platone

Non è realistico pensare che il mondo consista di una serie di attimi indefinibili che, in rapida successione, appaiono e svaniscono dall’esistenza. Dobbiamo pensare che il passato ed il futuro esistano permanentemente. Tutto è per sempre, le cose non nascono, non cambiano e non muoiono, esse semplicemente sono. – Kurt Gödel

Il tempo è un mistero profondo, che sentiamo parimenti familiare e del tutto incomprensibile, e sul quale sono state dette e scritte milioni e milioni di parole. Tutti ci sentiamo immersi nel flusso degli istanti che, come un fiume invisibile ed inarrestabile, trascina ogni cosa con sé.

Che ne sarebbe di noi senza la rassicurante regolarità delle ore e dei giorni? Con uno sforzo di fantasia possiamo concepire una mente che non conosce lo spazio, ma ci è del tutto impossibile immaginare una vita fuori dal tempo. Il pensiero non è forse una sequenza di impressioni, di stati e di convinzioni che muta di continuo? E come potrebbero esistere un pensiero senza cambiamento, ed il cambiamento senza un prima e un poi?

Tutti noi sappiamo chiaramente – o forse crediamo di sapere – cosa sia il tempo, e come il suo trascorrere faccia da sfondo alle nostre vite, ma l’idea ingenua che deriva dall’intuizione resiste tenacemente appena si prova ad andare più in profondità. Siamo tutti d’accordo sul fatto che esiste un passato, dove vengono abbandonati gli istanti che sono stati adesso ma non lo sono più, ed un futuro sul quale possiamo fare solo ipotesi. Tra questi due giganti si trova schiacciato il minuscolo presente, nel quale siamo imprigionati e che per noi costituisce la vita intera. Probabilmente anche tu quando pensi al trascorrere del tempo immagini la storia passata, immutabile, e quella futura, sconosciuta, tra le quali brilla una luce speciale che pian piano ingrossa la prima a spese della seconda. È il presente che si muove, portandoci con sé, mentre trasforma le possibilità del futuro nelle certezze del passato.

Il mistero del tempo nasce proprio da qui, dal fatto che il punto nel quale ci troviamo – il presente – non è fisso ma si muove di continuo in direzione del futuro. Sulle prime la faccenda non sembra troppo complicata, ma il filosofo che se ne interessa si ritrova ben presto circondato da paradossi e difficoltà apparentemente insolubili. Se il presente si muove, con quale velocità lo fa?

Un secondo al secondo, si direbbe, anche se la risposta appare subito sospetta. Siamo noi a spostarci nel tempo, o è il tempo a farlo trascinandoci con sé? Perché possiamo vagabondare a piacere nello spazio ma siamo invece imprigionati in un particolare momento, che per di più si muove in una sola direzione? Il tempo ha avuto un inizio, e avrà una fine? E, se questo è il caso, cosa c’era prima e cosa ci sarà dopo?

Non è certo possibile riassumere in poche righe un argomento così complesso, ma basterà sapere che oggi siamo in grado di dare un senso coerente a quanto sembrava destinato a rimanere un mistero.2 Per farlo è indispensabile comprendere che il trascorrere del tempo che tutti noi percepiamo è – e non potrebbe essere altrimenti – un simbolo che appartiene al modello del mondo costruito dalla mente, esattamente come il colore bianco di questa pagina o il sapore del gelato. Gran parte della confusione che ha infiammato i dibattiti sul tempo deriva dall’attribuire all’ente in sé proprietà che sono invece caratteristiche della sua rappresentazione simbolica.

La fisica – il che significa il ragionamento sul funzionamento dell’universo basato sull’osservazione e sugli esperimenti – ha qualcosa da insegnarci a riguardo del tempo, e quello che ci dice è inequivocabile: non esiste nulla che possa distinguere un particolare istante tra tutti quelli che costituiscono la storia per etichettarlo come adesso, e non esiste nulla che assomigli al suo trascorrere. Il tempo non scorre, ma costituisce al più una delle coordinate che individuano un particolare punto all’interno di un ente a quattro dimensioni: le tre dello spazio più, appunto, il tempo. Questo ente è nel suo complesso stazionario e fissato una volta per tutte. Esso non evolve e non muta: semplicemente esiste, in una perenne immobilità, come potrebbero farlo il numero tre o il teorema di Pitagora.

Quale follia, starai probabilmente pensando! Come può l’universo intero essere immobile, quando con ogni evidenza io vedo girare le ruote, la Terra, il Sole e i miei stessi pensieri? Se nulla in realtà cambia, da dove arriva il mutamento, che sento con forza dentro di me? Perché posso ricordare il passato e non il futuro? E, ancora, se il presente non ha posto nelle leggi della fisica e gli istanti sono tutti uguali a cosa servono gli orologi, e perché quando li consultiamo ci dicono che ora è?

Ebbene il paradigma dell’universo stazionario non solo è in grado di spiegare tutto ciò, ma probabilmente è l’unico capace di farlo con coerenza e – per quanto possa sembrare strano – con semplicità. Prova ad immaginare la serie di eventi che costituiscono la storia del tuo cervello all’interno dello spazio-tempo, raffigurandoti se vuoi la posizione delle sue particelle come un fascio di fili luminosi che si snoda in un grande cristallo trasparente. In ciascuno di questi punti, o almeno in tutti quelli nei quali dal cervello nasce un atomo di coscienza, c’è l’Io di un particolare momento della tua vita che vive quell’istante come adesso, e lo fa per l’eternità. In quel momento i suoi pensieri confrontano la sua memoria con quanto viene loro presentato dagli organi di senso, vi trovano delle differenze e creano un simbolo per rappresentarle. Questo simbolo è ciò che arrivato alla consapevolezza viene vissuto come ‘cambiamento’.

Il passato ed il futuro sono fondamentalmente un altrove, cioè dei luoghi dell’universo sui quali un particolare atomo di coscienza ha soltanto informazioni indirette. Essi non hanno un significato assoluto: non esiste il passato e non esiste il futuro, ma solo quelli che ogni atomo di coscienza percepisce come tali. E, ovviamente, lo stesso si può dire del presente! Non per niente è sempre adesso, quando ci fai caso, proprio come il punto in cui ti trovi è sempre qui e quando ti chiedi chi sei non puoi che risponderti io.

Passato e futuro, il tuo passato e il tuo futuro, sono una suddivisione arbitraria degli eventi in due grandi gruppi, quelli che precedono il tuo qui ed ora lungo la coordinata temporale e quelli che lo seguono. Il giorno che adesso chiami ‘ieri’ e quello che chiami ‘domani’ sono tanto reali quanto lo è il tuo presente, e l’unica consapevolezza che tutti condividiamo li sta sperimentando esattamente come stai facendo tu in questo momento.

Se tutti gli istanti sono fissi nell’eternità, potresti chiederti, e l’avanzare del presente è un’illusione, perché posso ricordare facilmente ciò che ho fatto ieri, ma non ciò che farò domani? Il trascorrere del tempo sembra possedere una direzione privilegiata, tanto che la maggior parte dei fenomeni che osserviamo sono irreversibili.

Senza dubbio anche tu consideri del tutto normale bruciare della benzina quando usi l’automobile per spostarti da un luogo a un altro, e altrettanto sicuramente convieni che è impossibile sperare di vedere un veicolo muoversi spontaneamente in retromarcia, mentre assorbe energia dall’ambiente e riempie il serbatoio con carburante fresco ricavato dai gas di scarico. Eppure le leggi fondamentali della fisica – tutte! – ci assicurano che entrambi i fenomeni sono possibili, e per di più con la stessa probabilità! Da dove nasce allora l’irreversibilità, se nessuna delle leggi che governano il moto delle particelle fa differenza tra passato e futuro?

La freccia del tempo può venir spiegata con la naturale tendenza delle cose al rimescolamento, spinta da un insieme di cause nel complesso casuali. Una goccia di profumo evapora perché le sue molecole, muovendosi a caso, si diffondono nella stanza: sarebbe teoricamente possibile vederle ritornare tutte all’interno della boccetta da cui sono partite, ma la probabilità di un evento del genere è talmente minuscola da far sì che esso in pratica non si verifichi mai. La ragione per cui questo accade è triviale, ed è la stessa che rende vano sperare di ottenere la Divina Commedia pescando una lettera alla volta da un sacco contenente i caratteri usati per stamparne una copia. Di fronte ad un piccolo numero di combinazioni che consideriamo interessanti ne troviamo uno immenso di altre collettivamente indistinguibili, e che ci appaiono come una mescolanza uniforme e senza struttura. È logico aspettarsi, partendo da una di queste e muovendosi a caso, di non giungere mai ad una delle rarissime combinazioni che per noi hanno un significato speciale.

Tuttavia anche questo ragionamento, apparentemente semplice, nasconde una difficoltà formidabile: se l’evoluzione dell’universo assomiglia al rimescolamento di un mazzo di carte, chi o cosa l’ha preparato in maniera così speciale all’inizio della sua storia? Istante dopo istante la struttura delle cose sembra degradare, allontanandosi sempre più da una condizione iniziale perfettamente organizzata fino a giungere inesorabilmente ad una piatta uniformità. La celebre grandezza nota come entropia misura – semplificando all’estremo – quanto la configurazione in cui un sistema si trova è anonima, ed è ben noto che al trascorrere del tempo essa non può che aumentare.

Un esame più approfondito mostra che le stesse ragioni – puramente logiche – che fanno sì che rimescolando la Divina Commedia si debba ottenere per forza un’accozzaglia di lettere senza significato impongono che tutti i processi che elaborano informazione e che costruiscono dei ricordi devono avvenire a spese di un aumento dell’entropia. Questo significa che ogni punto dello spazio-tempo può contenere tracce solo di punti ad entropia più bassa, e questi punti sono ciò che per lui costituisce il passato.

Anche i nostri pensieri, che sono un processo fisico prodotto dall’attività computazionale del cervello, devono sottostare alle stesse leggi, e devono per forza vedere lo svolgersi degli eventi in una direzione obbligata! Il motivo per cui possiamo ricordare il passato e non il futuro è ancora una volta una tautologia: chiamiamo passato gli eventi sui quali possiamo avere dei ricordi, e futuro quelli per cui ciò si rivela impossibile!

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