Nessuno di noi potrà mai conoscere direttamente il mondo esterno. Piuttosto, siamo coscienti dei risultati di alcune computazioni eseguite dal nostro sistema nervoso su una rappresentazione del mondo. – Roger Penrose
L’anima e gli enti conoscono essenzialmente se stessi, mentre conoscono le altre cose secondariamente e accidentalmente. Lo spirito senziente non sente il calore, ma sente se stesso modificato dal calore. – Tommaso Campanella
Dove ti trovi in questo momento? Concediti qualche istante per riflettere su ciò che vedi e senti attorno a te: una stanza, una finestra, un giardino pubblico con le voci dei bambini che giocano, altre persone e forse degli alberi. Puoi toccare le cose che vedi, assaggiarle o annusarle, sentire il rumore che fanno quando le colpisci, e tutto si fonde in un quadro coerente: c’è un mondo là fuori!
C’è un mondo la fuori, è vero, ma sei sicuro di vederlo come realmente è? Di più, sei sicuro che abbia senso supporre che il mondo in qualche modo sia a prescindere da come tu lo interpreti? Il foglio che tieni in mano non è realmente bianco, e il fruscio della pioggia che sta cadendo esiste solo perché qualcuno lo ascolta. È solo grazie al nostro esserci che all’interno della mente atomi, luce e onde sonore possono diventare oggetti, colori e suoni.
I tuoi pensieri nascono nel cervello, che però si trova imprigionato all’interno di una robusta stanza blindata dalla quale gli è impossibile uscire. Tutto ciò che vedi e senti, tutto ciò che tu chiami il mondo è giunto alla tua consapevolezza sotto forma di impulsi elettrici digitali portati dalle fibre nervose. Eppure ci vediamo circondati da cose, non da bit e segnali elettrici! Ciò che chiamiamo la realtà, per quanto possa apparire sorprendente, è una raffinata rappresentazione simbolica che il cervello si costruisce per organizzare le informazioni sull’ambiente in cui si trova, e dar loro un senso. È in questa speciale rappresentazione che si svolgono le nostre esistenze, in una sorta di mondo dentro al mondo, talmente ricco ed interessante, però, da superare l’originale!
Come i cartografi rinascimentali, che disegnavano dei capolavori senza mai muoversi dalla loro bottega, anche i nostri cervelli devono costruire le mappe del mondo in cui vivono basandosi solo sulle informazioni portate dai messaggeri.
La relazione tra la nostra mappa e la realtà oggettiva dev’essere affidabile e funzionale, perché si è evoluta in modo da garantire la sopravvivenza degli esseri che ne fanno uso, ma rimane in larga misura arbitraria. Dobbiamo avere ben chiara la natura simbolica delle percezioni: così come sarebbe un grave errore confondere una cartina geografica con il territorio che rappresenta lo sarebbe rifiutare a priori ciò che gli esperimenti ed il ragionamento ci dicono essere vero, solo perché sembra non adattarsi alla nostra idea ingenua su come il mondo dovrebbe essere. Ci troviamo a recitare su un palcoscenico, e non lo possiamo abbandonare. Abbiamo però la possibilità di sbirciare dietro le quinte per capire come funzioni la scenografia, e questo faremo.
Tra i tanti simboli che danno vita al mondo interiore troviamo anche la sensazione di essere un io, un individuo distinto dagli altri capace di pensieri ed azioni indipendenti. La nostra esistenza in quanto individui è basata su un fatto fisico ben preciso: le particelle che costituiscono un corpo interagiscono strettamente tra loro, scambiandosi informazioni in modo coordinato, e molto più debolmente con il resto del mondo. Considerare il corpo come un oggetto distinto dagli altri è un’approssimazione, certo, ma valida ed utile. L’unità di cui ti voglio parlare non prescinde affatto da questo, anzi lo assume come uno dei suoi capisaldi: ognuno di noi possiede un suo repertorio di informazioni che non può condividere con gli altri se non in maniera molto limitata (ad esempio attraverso il linguaggio). Sostenere che siamo tutti la stessa persona non significa certo che se io mi pungo un dito tu senti dolore, o che siamo in grado di condividere i pensieri attraverso un misterioso potere telepatico. Ma se non questo, allora, cosa? Come possiamo essere tutti uno solo se siamo – con ogni evidenza – molti?
Certo, io e te siamo due individui distinti. Abbiamo pensieri diversi, sensazioni diverse, storie, memorie e sentimenti differenti, viviamo in luoghi separati e magari in momenti lontani nel tempo. Ma se andiamo a cercare oltre l’io, oltre a tutto quello che fa della nostra mente un ‘me’, troviamo il nucleo centrale della nostra consapevolezza, l’incomunicabile senso dell’esserci al mondo che dà vita a tutto il resto. È questo senso di presenza ad essere condiviso, unico e necessario, non le singole esperienze che lo vestono creando la contingenza dell’individualità. “Siamo tutti la stessa persona” significa che il legame tra me, te, Cleopatra e Galileo Galilei è esattamente lo stesso che c’è tra il ‘te’ di un secondo fa e il ‘te’ di questo preciso istante. Il prossimo passo, stando così le cose, sarà comprendere cos’è che fa di ciascuno di noi un io capace di resistere indenne al trascorrere del tempo e ai cambiamenti del corpo.