Sulla realtà di ciò che è possibile

Penso si possa tranquillamente affermare che nessuno capisce la
meccanica quantistica. – Richard Feynman

Le prove a sostegno dell’interpretazione dei molti mondi sono schiaccianti. Non solo plausibili, o convincenti. Sono decisive. Le versioni della meccanica quantistica che postulano l’esistenza di un solo universo semplicemente non funzionano, e il leggendario alone di mistero che circonda la teoria deriva da questo fatto essenziale. Ma basta con le chiacchiere, lasciate che ve lo dimostri. – Eliezer Yudkowsky

L’avventura della fisica moderna comincia nei primi anni del ’900, quando alcuni fenomeni apparentemente paradossali del mondo microscopico portano alla nascita della meccanica quantistica, una teoria che si sarebbe ben presto rivelata una vera e propria rivoluzione. La nuova fisica è stata capace di spiegare brillantemente i meccanismi alla base del mondo degli atomi: ogni volta che è stata messa alla prova si è mostrata in perfetto accordo con gli esperimenti, tanto che al momento nessuno mette seriamente in dubbio la sua validità. Nonostante questo, però, attorno ad essa arde un feroce dibattito filosofico, molto più acceso di quello che interessa ad esempio la relatività generale o il modello standard delle particelle.

Le sue equazioni sono chiare – per chi possiede le basi matematiche per comprenderle, ovviamente! – e universalmente accettate, tanto da costituire il fondamento di gran parte della tecnologia moderna. Perché, dunque, tanto fervore attorno alla loro interpretazione? Il motivo è presto detto: la teoria descrive un mondo del tutto alieno alla nostra intuizione, parlandoci di fenomeni ai quali è veramente difficile dare un senso. A quanto pare nel nostro universo hanno pieno diritto di cittadinanza particelle che si trovano in due luoghi diversi allo stesso tempo, gatti al contempo sia vivi che morti, fotoni che sembrano accorgersi quando qualcuno li guarda ed altre stranezze ancora più incredibili. «L’universo», affermò uno dei padri fondatori della nuova scienza, «non è solo più strano di quanto immaginiamo, è più strano di quanto possiamo immaginare!».

Uno dei problemi filosoficamente più intriganti che la meccanica quantistica ci presenta è l’introduzione del caso come componente fondamentale della natura. La concezione ottocentesca dell’universo, rigida e deterministica, è stata superata da una nuova visione, secondo la quale il massimo che possiamo fare – anche in linea di principio – è stimare la probabilità che un certo evento si verifichi. D’accordo, il caso rende la storia dell’universo molto più interessante e ricca di informazione, ma che posto possiamo dargli se il trascorrere del tempo è un’illusione e le cose sono, eterne e per sempre? Dove sono i dadi di Dio, che già hanno reso perplesso Einstein?

Immagina una serie di minuscole particelle poste davanti ad una scelta, ad esempio mentre vanno incontro ad un prisma in grado di farle girare indifferentemente a destra oppure a sinistra. Ciascuna di esse si comporta, dal tuo punto di vista, in maniera del tutto casuale: non c’è alcun modo di prevedere in anticipo quale strada prenderà. Teoria ed esperimenti sono d’accordo nel dirci, contro ogni intuizione, che ogni particella sceglie entrambe le strade, andando simultaneamente a destra e a sinistra. La situazione è veramente bizzarra, tanto da far sospettare che sia all’opera un diavoletto dispettoso: la particella segue entrambe le strade, però quando andiamo a guardare la vediamo inevitabilmente da una parte oppure dall’altra, senza alcuna traccia di ambiguità!

L’interpretazione classica di questi fenomeni dava alla consapevolezza dell’osservatore il potere di far collassare le diverse possibilità nell’unica effettiva realtà. L’universo inosservato, si diceva, rimane in una condizione indeterminata, e decide – casualmente – da che parte stare solo nel momento in cui qualcuno ne fa un’esperienza cosciente. Sfortunatamente per i sostenitori di questa teoria essa si è dimostrata insostenibile, ed è stata di fatto abbandonata. Le stesse leggi che governano il comportamento di una sola particella sono all’opera quando si considerano oggetti macroscopici composti da miriadi di esse, come ad esempio i nostri cervelli. Questo implica che non è possibile tracciare una linea di separazione tra l’osservato e l’osservatore, e che la stessa ambiguità che si applica ad un atomo deve valere anche per me e per te.

Ancora una volta la realtà ha superato la nostra fantasia: la particella posta di fronte ad un bivio non decide mai da che parte stare, e così fa anche il cervello che la osserva. Dopo l’esperimento, per quanto possa sembrare incredibile, anche l’osservatore si trova ad esistere in due versioni sovrapposte, una delle quali vede la particella andare a destra e l’altra a sinistra! E, come se non bastasse, il fenomeno non richiede accorgimenti particolari ma si verifica ogni volta che un qualsiasi evento del mondo microscopico può svolgersi in più di un modo.

Di fatto ciascuno di noi esiste in una moltitudine di versioni, che sperimentano tutto quello che può fisicamente accadere. Questo è ciò che ci dice la nostra miglior teoria sulla struttura della realtà, ma come credere a qualcosa di così pazzesco? Perché non ci accorgiamo di questa moltiplicazione? Tutti noi sentiamo di appartenere ad una realtà ben precisa, nella quale non c’è traccia di dadi che mostrano allo stesso tempo ‘Uno’ e ‘Due’. Se esistono innumerevoli copie di me, potresti chiederti, dove sono? Perché non possiamo vederle?

Forti di quello che abbiamo capito sull’Esistenza possiamo dare facilmente una soluzione al problema: tutte le possibili realtà alternative esistono assieme e sono equivalenti, nel senso che nessuna è più reale delle altre. Quella che tu percepisci in questo momento è reale, per te, perché è l’unica con la quale l’atomo di coscienza che costituisce il tuo Io può interagire. Un particolare fenomeno fisico chiamato decoerenza, infatti, fa sì che quando si ha a che fare con oggetti complessi diventa di fatto impossibile trasferire informazione da una delle possibili realtà ad un’altra, che diventano così due universi del tutto separati e indipendenti.

Semplificando molto possiamo pensare alla realtà come ad un insieme di universi (più o meno) paralleli, nei quali tutto ciò che può verificarsi si verifica. Ciascuno di questi contiene una serie di atomi di coscienza, che non hanno modo di ottenere informazioni sui possibili ‘altrove’ alternativi. L’universo che vedi intorno a te è solo una parte infinitesima di un multiverso destinato a restare per sempre inaccessibile, e l’Esistenza è molto più ampia di quanto ci avrebbe portato a credere la fisica classica. Ogni atomo di coscienza contiene nel suo Io oltre ad un personale qui ed ora anche l’esperienza di una particolare possibilità.

L’angolino del tutto che ciascuno di noi percepisce è davvero molto più piccolo di quanto potevamo immaginare! Concepire le nostre esistenze in questo ente immensamente vasto ricompone l’apparente dualità tra caso e determinismo. La realtà è nel complesso deterministica, esiste immutabile e comprende tutto ciò che è possibile, ma gli esseri che essa contiene vivono a tutti gli effetti le esperienze dell’imprevedibilità e del caso. Per ciascuno di noi il passato è veramente unico, e il futuro veramente aperto ed indeterminato, senza bisogno di un tempo che scorra!

Immagina di trovarti di fronte ad una scelta, ad esempio se giocare tutto ciò che possiedi al casinò puntando sul rosso oppure sul nero. L’Esistenza contiene due serie di atomi di coscienza che includono nei loro ricordi il momento della tua decisione, che costituisce parte di un passato comune ad entrambe. Le esperienze contenute nelle due serie saranno molto diverse, ma tu non hai modo di sapere quali delle due sarà il tuo futuro come non puoi sapere in anticipo se uscirà il rosso oppure il nero. Per te la scelta è aperta perché in realtà entrambe le possibilità sono ugualmente realizzate!

L’infinito multiverso è punteggiato di atomi di coscienza, molto rari in termini puramente quantitativi ma la cui importanza non sarà mai celebrata abbastanza. Ognuno di essi fornisce il suo punto di vista sul tutto, ponendosi al centro dello spazio, del tempo e delle possibilità. L’Esistenza è un ente unico e costante, che però appare diverso e in cambiamento ad ognuno dei suoi innumerevoli osservatori. Possiamo allora estendere il principio di relatività che già sostennero Galileo ed Einstein a proposito del movimento all’ambito metafisico dell’esserci: l’esperienza che ciascuno fa della sua vita è un punto di vista sul tutto, alla cui base c’è un ente assoluto. Questo assoluto non è evidente, anche se può essere svelato con il ragionamento e l’osservazione, ma nondimeno costituisce la realtà oggettiva alla base di tutte le percezioni.

L’Esistenza offre una prospettiva nuova dalla quale guardare alle singole esistenze che la compongono, ed in particolare alla propria. Il risultato a cui siamo arrivati potrebbe sembrarti un mero esercizio intellettuale, tanto interessante come argomento di conversazione per filosofi annoiati quanto privo di utilità pratica. È davvero così? Io sono convinto del contrario, e per dimostrartelo ti invito a seguirmi in una breve riflessione sul controverso terreno dell’etica.

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